
La vita è dura. Ci sono persone che sono state ferite – fisicamente o emotivamente – e sono diventate vittime del destino. Ma ci sono anche persone che scelgono – più o meno consapevolmente – di diventare vittime, sono coloro che soffrono di quello che in Psicologia è noto come “complesso del martire” (o sindrome del martire).
Cos’è il complesso del martire?
“La persona che attira costantemente l’attenzione sulle sue disavventure e sofferenze rischia di provocarsi il complesso del martire e di dare agli altri l’impressione di cercare compassione”, avvertiva Martin Luther King.
Il complesso del martire implica la ricerca della sofferenza in diversi modi per sentirsi “bene” con se stessi. È un modello di comportamento autodistruttivo che porta la persona a fare tutto il possibile per trovare situazioni che possono causargli angoscia e sofferenza.
Chi fa il martire tende solitamente a “sacrificarsi” in nome dell’amore, del dovere o di un altro valore che soddisfa le sue necessità psicologiche. Di conseguenza, soffre inutilmente mentre ignora i propri bisogni. Spesso questa tendenza al masochismo lo porta a mantenere relazioni dolorose o codipendenti.
Perché una persona vorrebbe essere un martire?
Ci sono culture, famiglie o gruppi sociali in cui il martirio è incoraggiato e persino sono viste di buon occhio le persone disposte a sacrificarsi e soffrire, soprattutto per gli altri. In realtà, è il messaggio di fondo di religioni come il cristianesimo, in cui ci si aspetta che le “brave persone” conducano una vita segnata da ascetismo e penitenza.
L’auto-flagellazione, caratteristica di alcune sette pagane che venne assorbita dal cristianesimo e si estese ampiamente durante la seconda metà del secolo XII, includeva ongi tipo di punizione fisica, come frustarsi o indossare il cilicio. Con il passare del tempo questa pratica scomparve, sebbene non si sia mai completamente estinta e la mortificazione continui a essere predicata.
In alcune culture, ci si aspetta anche che le donne assumano il ruolo di martire e si sacrificino per la famiglia. Quelle che rinunciano alle loro speranze e sogni per gli altri sono considerate donne altruiste, buone, sacrificate, amabili e degne di essere prese come esempio.
Sebbene possiamo combattere e persino respingere queste idee a livello intellettuale, esse sono tuttavia molto radicate nell’immaginario popolare, quindi non sorprende che la parola “martire” continui ad avere un alone positivo.
Ciò significa che, nel profondo, la persona con il complesso del martire assume il ruolo di vittima per migliorare la propria immagine. Quella persona viene vista attraverso gli occhi della disponibilità, quindi pensa di non avere alcun valore intrinseco se non fintanto che soddisfa i desideri e i bisogni degli altri.
In fondo, le persone con il complesso del martire sentono di non essere degne di essere amate, quindi cercano di “espiare” attraverso le punizioni e le sofferenze che si impongono. Cercano di riscattarsi assumendo carichi pesanti che non gli corrispondono.
Generalmente sono persone che, a causa della loro traiettoria di vita, hanno assunto che i loro sentimenti, emozioni, idee, bisogni e persino il loro dolore non sono importanti, quindi li mettono costantemente a tacere, spegnendo così la propria luce. Credono di essere responsabili della felicità e del benessere degli altri, al di là di ciò che detta il buon senso.
Una parentesi: il martire manipolatore
In alcuni casi, la persona con il complesso del martire sfrutta la sua consolidata posizione di vittima per generare dolore negli altri e manipolarli. È un tipo speciale di martire che usa le sue difficoltà nella vita per raggiungere ciò che vuole, presentandosi come una vittima indifesa che ha bisogno d’aiuto.
Questo tipo di martire di solito si libera di ogni tipo di responsabilità nella vita, mettendola sulle spalle degli altri. Assumendo una mentalità da vittima e incolpando tutti tranne se stesso, proietta i suoi fallimenti e le sue delusioni sugli altri e spera che lo aiuteranno.
Se le persone non lo faranno, non esiterà a ricorrere ad una lunga lista di sacrifici e sofferenze da lui fatti per generare il senso di colpa e raggiungere i suoi obiettivi.
7 Caratteristiche delle persone che tendono a fare i martiri
1. Tendono ad idealizzare grandi personaggi storici che si sono sacrificati per gli altri.
2. Si considerano brave persone, eroi o santi pensando che il resto del mondo è egoista e insensibile.
3. Esagerano il loro livello di sofferenza, privazione e maltrattamenti per apparire come vittime sacrificali. Cercano attivamente apprezzamento, riconoscimento e attenzione attraverso i loro “drammi”.
4. Hanno poca autostima, non credono di essere degni di essere amati per quello che sono.
5. Hanno un locus di controllo esterno, quindi incolpano gli altri per i loro problemi e rifiutano di assumersi la responsabilità di quelle decisioni che hanno causato loro dolore o sofferenza.
6. Hanno difficoltà a dire di “no” e stabilire limiti, quindi tendono a cadere in relazioni violente o, al contrario, diventano manipolatori.
7. Non prendono l’iniziativa per risolvere i loro problemi, ma piuttosto godono di essi e, quando alla fine scompaiono, cercano nuovi problemi di cui lamentarsi.
Come affrontare una persona che fa il martire?
1. Smetti di accettare favori ed espressioni di sacrificio. La persona con il complesso del martire cercherà sempre modi per dimostrare che è “buona” e, allo stesso tempo, creerà situazioni che ti facciano sentire “cattivo”. Per mettere fine a questo teatro, è importante che tu smetta di accettare le espressioni di sforzo o sacrificio perché più togli ad un martire, più si aspetterà da te e sarà più probabile che si senta risentito e crei un dramma in futuro. Naturalmente, non si tratta di rifiutare tutto ciò che la persona ti offre poiché in questo modo si sentirà rifiutata, ma devi assicurarti che l’aiuto non comporti un sacrificio per la persona e devi lavorare per essere il più autosufficiente possibile.
2. Accettalo, ma non soddisfare il suo bisogno di compassione. Se provi compassione per il martire, nutrirai il suo dramma e il ruolo di vittima. Ecco perché è importante che, se quella persona ti racconta i suoi problemi per attirare la tua compassione, cerchi di aiutarla a vedere la situazione da una prospettiva più obiettiva evitando frasi come “poverino, devi sentirti molto stanco” o “che sfortuna hai avuto“. Al contrario, concentrati sui risultati positivi ottenuti. Quando non provi pena per lei o il tipo di simpatia che quella persona sta cercando, capirà che non sei manipolabile e smetterà di alimentare il suo comportamento autodistruttivo.
3. Esprimi direttamente le tue preoccupazioni. Parlare con una persona che soffre del complesso del martire è difficile, ma è l’unica opzione per mantenere una relazione matura. È probabile che la sua prima reazione sia arrabbiarsi, negare tutto o sentirti offeso. È importante non ricorrere alle recriminazioni, ma concentrarsi su come i suoi comportamenti ti fanno sentire e offrire soluzioni per migliorare la relazione. Fagli sapere che se stai toccando l’argomento, è perché quella persona è importante per te, ma che non sei disposto a continuare quel tipo di relazione. Inizia riconoscendo che apprezzi il suo sforzo, ma poi spiega come quel comportamento sia dannoso per tutti.
Come eliminare il complesso del martire?
Il complesso del martire finisce per contaminare tutte le interazioni che una persona ha con gli altri. È comune che queste persone provino risentimento perché non ricevono tutto ciò che si aspettano dagli altri. È anche probabile che diventino persone passive-aggressive che finiscono per danneggiare le relazioni in cui sono coinvolte. Come uscire da questa situazione?
• Comprendi che hai altre possibilità, oltre a fare il martire. Tutti vogliamo essere amati, accettati e apprezzati. Ma è importante ottenerlo per quello che siamo, in modo autentico. Sforzarsi di compiacere gli altri, tentando di dimostrare il proprio valore, è difficile e non darà buoni risultati. In effetti, è importante non confondere la pena e la pietà con l’amore. Questo tipo d’amore non è soddisfacente perché non stai esprimendo chi sei, i tuoi sentimenti e il tuo vero io.
• Cerca un nuovo ruolo nella relazione. Assumiamo tutti ruoli diversi nelle nostre relazioni. Alcune persone assumono ruoli autoritari, altri adottano ruoli di uguaglianza e infine altri accettano ruoli di sottomissione. Finora il tuo ruolo è stato quello di sacrificarti, ma puoi cambiarlo e assumere ruoli più sani. Qualunque sia il ruolo che scegli, chiediti: è un ruolo sano? Sono dominante, sottomesso o agisco da pari per questa persona? Idealmente, dovresti interpretare ruoli che creino uguaglianza sia per te che per gli altri.
• Assumi le tue responsabilità. Anche se a volte può essere doloroso assumere che abbiamo commesso un errore e che, in un certo senso, abbiamo contribuito ai nostri problemi, è il primo passo per prendere in mano le redini della nostra vita e lasciarci alle spalle il ruolo di vittima. Traccia una linea tra ciò che puoi e non puoi cambiare. Supponiamo che la felicità sia una decisione personale e che dipenda da te produrre cambiamenti positivi per realizzarla.
• Preparati alle reazioni degli altri. Se hai mantenuto relazioni in cui gli altri hanno approfittato della tua dedizione e devozione, è probabile che queste persone si sentano confuse dal tuo cambiamento e ti spingano persino a tornare al vecchio ruolo. Il modo migliore per affrontare queste reazioni è parlare direttamente del processo di crescita personale che stai vivendo.
Fonti:
Johnson, P. (2017) La historia del Cristianismo. Barcelona: Sipan Barcelona Network.
Kets, M. (2012) Are You a Victim of the Victim Syndrome? Organizational Dynamics; 43(2).
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