In un sito che non ricordo più quale fosse una volta lessi una frase che mi colpì moltissimo: “Molto spesso il problema non sta nel fatto che non abbiamo avuto abbastanza successo ma piuttosto che non abbiamo mai fallito un numero sufficiente di volte”. Ovviamente, questa idea si scontra con il paradigma sociale che indica che il fallimento è attribuito a quella persona che non è stata capace di raggiungere una meta (molto spesso impostagli dalla società stessa).
Oggi come oggi, nel mondo occidentale, i genitori tentano con tutti i mezzi a loro disposizione di fare in modo che i loro figli non debbano mai fare l’esperienza del fallimento, facilitando loro il cammino fino ad un limite davvero insano. Nello stesso tempo, in ognuno di noi si va configurando un forte meccanismo di difesa che ci impedisce di riconoscere i nostri stessi errori e limiti. Il problema è che, riconoscere di avere dei limiti e che si commettono degli errori, viene pericolosamente identificato con l’idea del fallimento. Nessuno di noi vuole essere un fallito! Ci hanno educato ad avere paura di questa parola dato che ci è stato insegnato che corrisponde ad un indice del nostro valore come persona. Ma non è così.
Comunque, se osserviamo la storia dei grandi geni del passato vedremo che, prima di giungere a scoprire le loro teorie il loro cammino era intriso di fallimenti. Infatti, scientificamente parlando, il fallimento viene contemplato più come un errore che come una sconfitta, è un passo inevitabile sul cammino che porta allo sviluppo.
Le ragioni del fallimento
La causa principale del fallimento deriva dal prefissarsi delle mete che non corrispondono con le nostre reali capacità per realizzarle. Attualmente i mezzi di comunicazione insistono su di una immagine del successo che può essere raggiunta solo da pochi. Così, saremo tentati di assumere questi modelli come delle mete personali e come punti di riferimento senza renderci conto che questo stile di vita non è alla nostra portata. Essere ambiziosi è positivo e pianificare nuove mete sempre più difficili da raggiungere è un modo per crescere, ma dovremmo stare attenti a non allontanarci troppo dal buon senso.
Il fatto curioso è che molto spesso la maggioranza delle persone che sentono che stanno per fallire in realtà non sono poi così lontane dal realizzare il loro obiettivo, semplicemente si trovano solo a pochi passi dal successo senza rendersene conto. Così, il fatto di ottenere un salario appena minore di quanto ci aspettassimo aumenta la sensazione di fallimento. Tanto è così, che si è dimostrato che gli atleti olimpici che ottengono di vincere la medaglia di bronzo sono più felici di quelli che vincono quella d’argento. Questo accade perché l’argento significa avere mancato per un soffio il primo posto e questo è deludente e frustrante.
L’altra grande causa di fallimento è la tendenza a scommettere tutto su di un solo cavallo. Cioè, molte persone si concentrano solo su di un unico obiettivo e non contemplano piani alternativi. Allo stesso modo, alcuni professionisti si concentrano esclusivamente sulla loro carriera e si sentono falliti nell’ambito della vita di coppia o nelle relazioni interpersonali ed è naturale dato che, investendo tutte le loro energie in ambito professionale, trascurano le altre sfere della vita che potrebbero dare loro maggiore felicità.
Naturalmente, esistono anche altri fattori che determinano il fallimento e alcuni di questi possono anche sfuggire al nostro controllo, come nel caso di alcuni cambiamenti imprevedibili nel contesto generale che presumibilmente doveva sostenere il nostro progetto ma che alla
fine si è convertito in una barriera insormontabile.
Il prototipo del fallito
Se dovessi fare un quadro per descrivere le persone che si sentono dei falliti direi che mi soffermerei su due modelli: il perdente nato e l’eterno perfezionista. Ed è che se ci addentriamo davvero in ciò che è il fallimento vedremo che corrisponde più ad una sensazione di sconfitta che a una situazione oggettiva. Infine, ciò che una persona può considerare fallimento potrebbe non essere lo stesso per un’altra dato che no abbiamo tutti gli stessi obiettivi.
Il perdente nato è quella persona che si sente sempre triste a causa di una sensazione perenne di fallimento, dato che crede che tutto ciò che ha fatto l’ha fatto male perché non ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissato. Si tratta di persone che hanno una immagine molto povera di se stessi e nulla di ciò che fanno pare loro importante così che quasi tutto si trasforma in un fallimento. Di fronte al minimo problema vengono assaliti dalla sensazione di fallimento e così abbandonano il cammino.
Sull’altro lato incontriamo l’eterno perfezionista. Per queste persone, che sono estremamente scrupolose e minuziose, le cose devono essere fatte in maniera perfetta e irreprensibile. In questo modo, non volendo mai in alcun modo affrontare il fatto che gli esseri umani commettono errori, la loro vita gli appare come una serie infinita di opere non concluse e imperfezioni. Ovviamente, queste persone non provano mai il piacere del successo (anche quando lo ottengono) dato che sono eternamente alla ricerca di qualcosa di più.
Quando il fallimento porta al successo
Esistono persone che si scoraggiano di fronte al fallimento mentre altre utilizzano questa sensazione come lezione per continuare nel cammino migliorandosi. Queste ultime, sono coloro che comprendono il fallimento come un passo utile nella direzione giusta, non come la fine della storia.
Recentemente gli psicologi Jonah Berger e Devin Pope, hanno analizzato un totale di 18.000 giocatori di pallacanestro della NBA e sono giunti ad un risultato paradossale: perdere è altamente motivante. Infatti, le squadre che terminavano il primo tempo con un leggero svantaggio avevano molte più opportunità di vincere alla fine della partita.
I ricercatori si chiesero se la motivazione derivante dal fallimento si potesse applicare anche a persone normali. Così che chiesero a 171 volontari che premessero il più velocemente possibile due pulsanti in un lasso di tempo di 30 secondi. L’obiettivo era quello di superare l’avversario. Dopo che erano passati i 30 secondi si stabilì di fare una pausa durante la quale ogni persona veniva informata sulla sua prestazione e su quella dell’avversario. Il trucco consisteva nel fatto che a un gruppo veniva detto che era di poco più lento dell’avversario mentre che all’altro si diceva che erano molto distanti mentre che al terzo gruppo si disse che era molto più veloce del’avversario. Finalmente, ad un quinto gruppo di controllo non venne detto nulla. In seguito i volontari dovevano ripetere la prestazione per altri 30 secondi.
Cosa accadde? Le persone alle quali veniva detto di essere di poco più lente dell’avversario aumentarono considerevolmente il loro sforzo ottenendo migliori risultati, maggiori rispetto al resto degli altri gruppi.
Questo significa che se consideriamo il fallimento come un passo in avanti sul nostro cammino e sappiamo che abbiamo delle possibilità di raggiungere la nostra meta, potremo apprendere dagli errori fatti e correggere i nostri piani al fine di raggiungere l’obiettivo.
Fonte:
Berger, J. & Pope, D. (2011) Can Losing Lead to Winning? Management Science; 57(5): 817–827.
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