
Diciamocelo, una delle parole preferite dei nostri tempi è “tossico”.
Applichiamo questa etichetta alle persone che ci infastidiscono (“il mio ex è tossico”), ai lavori in cui non ci sentiamo a nostro agio (“quell’azienda ha una cultura tossica”), ai familiari che non sono all’altezza delle nostre aspettative (“mia madre è tossica“) e persino alle opinioni che differiscono dalle nostre.
Cosa sarebbe successo se la parola “tossico” fosse diventata un termine generico da usare a destra e a manca per giustificare la nostra intolleranza al disagio? E se usassimo questa parola come scudo emotivo per evitare ciò che ci sfida, ci frustra o semplicemente non ci piace?
L’universalizzazione del tossico
Anni fa, quando parlavamo di relazioni tossiche, ci riferivamo a vere e proprie dinamiche dannose: controllo, abuso emotivo, manipolazione, violenza, gelosia malsana, ricatto emotivo , disprezzo … Comportamenti che erodevano la salute mentale dell’altro e mettevano in chiaro una cosa: il legame ci stava distruggendo.
Oggi non abbiamo più bisogno che qualcuno ci urli contro, ci insulti o cerchi di manipolarci per far suonare tutti i campanelli d’allarme. A volte basta che qualcuno ci metta a disagio, ci faccia domande o non riconosca alle nostre emozioni al momento giusto. Poi compare l’etichetta “tossico”, una parola mascherata da presunta saggezza emotiva per liberarci dal dover dialogare, tollerare o addirittura riconsiderare il nostro ruolo e la nostra responsabilità nella relazione.
Il problema di vivere nell’era dell’iper-positività è che tutto ciò che ci fa sentire male diventa automaticamente sacrificabile, spregevole e “tossico”. Ma la vita non funziona così. Le relazioni umane comportano attriti, disaccordi e momenti difficili. Se definiamo “tossico” tutto ciò che non rientra nella nostra zona di comfort, finiremo isolati in una bolla di conferme.
E allora:
- Un capo esigente non è necessariamente “tossico”, forse ha ragione.
- Un amico che ti contraddice non è “tossico”; potrebbe aiutarti ad evitare di vivere in una bolla.
- Una relazione conflittuale non è automaticamente “tossica”; forse è semplicemente necessario imparare a dialogare e a scendere a compromessi.
- Un’opinione diversa non è “tossica”, potrebbe semplicemente riflettere una prospettiva diversa.
Etichettare le cose scomode come tossiche ha dei benefici (apparentemente)
Perché tendiamo a etichettare come tossico tutto ciò con cui non vogliamo avere a che fare? La risposta è semplice: perché ci offre vantaggi emotivi molto interessanti, almeno nel breve termine:
- Ci rende vittime del vincolo. Se l’altro è “tossico”, noi siamo automaticamente i “feriti” o le “vittime”. Siamo liberati dalla necessità di rivedere la nostra responsabilità nelle dinamiche.
- Giustifica la nostra fuga. “Non me ne vado perché non so come affrontare il disagio; me ne vado perché mi voglio prendere cura di me stesso“, è il messaggio implicito nell’etichettare una situazione come tossica. Può però anche essere una scusa elegante per evadere da ciò che non sappiamo o non vogliamo gestire.
- Ci esenta dal dialogo o dalla riparazione. “Non parlerò con qualcuno che è tossico.” E questo è tutto. Ciò ci esenta dallo sforzo di metterci nei suoi panni o di raggiungere un accordo. Scartiamo semplicemente ciò che ci mette a disagio e che non ci piace.
Il disagio non è sempre aggressività
A volte il disagio e l’inquietudine sono segnali che qualcosa non va. Dobbiamo però anche ricordare che nelle relazioni umane il disagio è inevitabile. E spesso perfino necessario.
Ti farà male quando un amico ti dice che sei egoista. Ti sentirai a disagio quando il tuo partner ti dirà che tendi a fare la vittima. Ti irriterai quando il tuo capo ti chiederà più impegno.
Questo non li rende tossici. Ti stanno sfidando. Ti stanno imponendo dei limiti. Oppure ti invitano (forse goffamente) a crescere. Ma se etichetti qualsiasi disagio come “tossico”, non avrai relazioni che valgano davvero la pena.
E attenzione: questo non significa tollerare tutto. Ci sono relazioni davvero distruttive. Ma se tutto sembra distruttivo, forse il problema non è esterno, ma nel modo in cui vedi il mondo e ti relazioni con gli altri.
Il pericolo di banalizzare il tossico
Quando definiamo “tossico” qualcosa che è semplicemente spiacevole, stiamo banalizzando esperienze che sono davvero dannose. Togliamo un peso alle vittime di relazioni realmente abusive. Se tutto è tossico, niente lo è. Perdiamo la capacità di distinguere tra un legame esigente e uno distruttivo.
Inoltre, finiamo per vivere in un universo emotivo impoverito perché quando cerchiamo di isolarci dai conflitti e dagli attriti, chiudiamo anche la porta a quel prezioso spazio di apprendimento che si crea quando due prospettive diverse sono costruttivamente in disaccordo.
In mondo emotivo in cui trova posto solo ciò che è comodo, morbido e convalidante può finire per essere, paradossalmente, più pericoloso di qualsiasi legame teso perché ci rende emotivamente fragili.
Forse stiamo cadendo inconsapevolmente in un modo emotivamente infantile di interpretare la realtà: tutto ciò che non mi piace è cattivo. Tutto ciò che mi mette a disagio è violento. Tutto ciò che mi si presenta è tossico.
Dov’è la capacità di sostenere la tensione? Dissentire senza annullare? Riconoscere che a volte il disagio è un segno che stiamo crescendo, non che siamo attaccati?
Ciò che chiamiamo “tossico” a volte è semplicemente qualcosa o qualcuno che non risponde al nostro copione emotivo. Ma invece di rivedere quel copione, ci concentriamo sul tentativo di “modificare” gli altri o il mondo. Tuttavia, dobbiamo ricordare che tutti noi , a un certo punto, siamo tossici.
In breve, non tutto ciò che ti mette a disagio è tossico. Non tutto ciò che non ti convalida è un abuso. Non tutto ciò che fa male è un segnale d’allarme. A volte è semplicemente qualcuno che è umano, goffo, limitato, diverso…
Se vogliamo mantenere relazioni autentiche, mature e complesse, dobbiamo essere preparati ai disaccordi. Perché le relazioni che valgono la pena portano con sé anche una sana dose di conflitti. E questo non significa che dovresti scappare o etichettarle come tossiche. A volte bisogna fermarsi, guardare dentro noi stessi e crescere.
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