
Solo poche settimane fa, una giovane donna ha pubblicato un video su Facebook che mostrava una signora che la rimproverava con un atteggiamento di sfida perché il suo bambino piangeva sull’aereo. Il suo obiettivo era che lo vedessero parenti e amici, ma il video diventò virale conquistando i titoli dei giornali di mezzo mondo, così la signora venne licenziata dal suo datore di lavoro perché l’azienda ritenne che il suo comportamento era “inaccettabile” e non dava una buona immagine. La giovane donna si scusò dicendo di non aver immaginato che il video potesse avere un tale impatto, ma il danno era già stato fatto.
Non è il primo caso, e non sarà l’ultimo, in cui la barriera tra privato e pubblico si assottiglia, o meglio scompare completamente, nei social network. In effetti, adesso possiamo entrare in reti come Facebook e sbirciare nei profili di persone che conosciamo da molti anni o che abbiamo appena incontrato. Possiamo vedere le loro foto, conoscere i loro figli, le loro case, sapere dove hanno trascorso l’ultima vacanza, qual è il loro ristorante preferito e anche essere testimoni di discussioni personali che prima restavano all’interno delle quattro mura di casa e oggi sono pubbliche…
Com’è possibile? La spiegazione, in alcuni casi, potrebbe dipendere dal fenomeno definito: “stanchezza da privacy” (Privacy Fatigue). Infatti, se vi preoccupa rivelare troppe informazioni su di voi, ma non sapete bene come tracciare la linea di separazione tra pubblico e privato, probabilmente potreste soffrire anche voi di questa “stanchezza”, che vi fa cedere e aprire le porte esponendo quasi interamente la vostra vita privata agli occhi dei curiosi.
Cos’è la stanchezza da privacy?
Un gruppo di psicologi dell’Istituto Nazionale di Scienza e Tecnologia di Ulsan, si è dedicato ad analizzare come le persone affrontano la barriera tra pubblico e privato. Si sono resi conto così che coloro che sono molto preoccupati per le minacce alla loro sicurezza e privacy online, soffrono spesso di ciò che chiamarono “stanchezza da privacy”.
La definirono come “una sensazione di stanchezza legata alla privacy, in cui la persona ritiene che non esista un modo efficace per gestire le proprie informazioni personali su Internet”.
Questi psicologi hanno anche osservato che il livello di stanchezza da privacy varia da persona a persona, ma, generalmente, credono che colpisca tutti e che la necessità di stabilire continuamente il confine tra informazione privata e personale per proteggere la nostra intimità, ci stia consumando sempre di più. Il problema è che quando siamo vittime della stanchezza da privacy si produce un effetto boomerang che ci fa abbassare le difese.
I sintomi della stanchezza da privacy
Questi psicologi spiegano che la stanchezza da privacy ha gli stessi sintomi di altre forme di affaticamento. In pratica, arriva il momento in cui sentiamo di dover soddisfare così tante richieste e tenere conto di tanti dettagli, che sopravviene l’esaurimento.
L’esaurimento perenne ci porta al livello successivo, in cui proviamo frustrazione, disperazione e persino delusione. Ad un certo punto, possiamo percepire la perdita d’efficacia, sentiamo che nulla di ciò che faremo sarà sufficiente, finché non cadiamo vittime dell’impotenza appresa.
Nel caso delle stanchezza da privacy, riteniamo semplicemente di non poterci mantenere aggiornati perché le informazioni fluiscono troppo velocemente e i cambiamenti sono costanti. A questo proposito, il filosofo Zygmunt Bauman disse che le autostrade dell’informazione che promettono di portare i viaggiatori verso le loro destinazioni più velocemente e con minore sforzo, possono diventare molto angoscianti.
Il paradosso della privacy
Questi ricercatori scoprirono che le persone che sono veramente preoccupate per la loro privacy ma non sono affaticate, evitano di divulgare informazioni personali, mentre coloro che sono già stanche semplicemente non hanno la volontà di controllare tutto il processo. In altre parole, si rompono gli argini e la linea tra l’intimo e il pubblico scompare.
Questa stanchezza ci fa cliccare sul pulsante “Accetta” senza pensare a nient’altro. L’esaurimento emotivo ci fa dimenticare la necessità di proteggere la nostra privacy, ci fa essere più negligenti e fa in modo che ci esponiamo di più al pubblico.
Questo dà origine al “paradosso della privacy”: le persone continuano a rivelare dettagli personali nonostante siano preoccupate per la loro sicurezza e privacy. Naturalmente, le cause non sono solo nella stanchezza emotiva, ma sono molto più profonde, radicandosi nella nuova sfida posta dai social network per raggiungere un equilibrio tra l’autoaffermazione individuale e la costruzione della comunità.
“La privacy è l’area che si suppone dovrebbe essere di dominio personale, il territorio inviolabile della sovranità personale all’interno del quale ho il pieno potere di decidere cosa e chi sono”, scrisse Zygmunt Bauman.
Tuttavia, i social network hanno ribaltato questo concetto facendo in modo che la privacy si trasformi da ambiente di potenziamento ad area di reclusione in cui il proprietario dello spazio privato non ha un pubblico avido e, quindi, non si sente ababstanza valorizzato L’identità individuale viene costruita oggi più che mai attraverso l’identità della comunità, quindi è sempre più difficile separare il privato dal pubblico.
La privacy come collante intimo
Non dobbiamo dimenticare che la privacy non implica solo tenere fuori gli altri, gli estranei e gli sconosciuti che possono ferirci, ma serve anche ad intrecciare e proteggere i vincoli più forti. Quando confidiamo i nostri segreti a persone accuratamente selezionate, quelli che nascondiamo agli altri, mettiamo queste persone in una categoria “molto speciale” e tessiamo reti di amicizia molto strette.
La scelta di condividere la nostra intimità ci rende vulnerabili, ci denuda davanti agli altri, quindi è un atto che storicamente ci ha aiutato a scegliere e trattenere i nostri migliori amici. Se condividiamo tutto nei social network perdiamo quella “colla intima” che ci consente di stabilire delle relazioni speciali.
A tal proposito, lo psichiatra Thomas Szasz disse che: “l’attuale crisi della privacy è strettamente legata all’indebolimento e decadimento di tutti i legami inter-umani”.
Pertanto, vale la pena di riconsiderare quella linea di confine, facendo attenzione di non cadere nella stanchezza da privacy.
Fonti:
Choi, H., Park, J., & Jung, Y. (2018). The role of privacy fatigue in online privacy behavior. Computers in Human Behavior, 81: 42-51.
Bauman, Z. (2011) Daños colaterales. Desigualdades sociales en la era global. Madrid: Fondo de Cultura Económica de España.
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