L’uomo ha sempre sognato che grazie al progresso tecnologico avrebbe risolto le sue problematiche esistenziali e che sarebbe divenuto on,nipotente. Tuttavia, è certo che attualmente l’incertezza si trasforma in un fardello ogni giorno più pesante mentre ci liberiamo dal condizionamento di una natura che sempre più spesso reclama i danni che gli arrechiamo facendoceli pagare sotto forma di catastrofi naturali.
Il ritorno alla natura è un metodo ancestrale di cercare il nostro equilibrio psicologico, da qui il suggerimento di affidarsi alla Terapia Assistita con Animali.
Un poco di storia
Le radici delle relazioni profonde tra uomo e animali si perdono nel tempo; l’utilizzo scientifico di questo tipo di relazione con fini terapeutici risale al 1972, nel Retreat di York in Inghilterra. Fu William Tuke che intuì che le relazioni con gli animali avrebbero potuto avere dei benefici sui pazienti che soffrivano di disturbi mentali.
Già nel 1867 gli animali da compagnia cominciano a intervenire nel trattamento delle persone con epilessia a Bethel, Germania. Cambiando continente, negli USA, la US Army Veterinary Medicine Branch of the Health Services Command, ha utilizzato animali durante la Seconda Guerra Mondiale, per favorire la guarigione delle persone ospitalizzate, mentre nello stesso periodo a New York si utilizzavano nella riabilitazione dei piloti d’aereo.
Nel 1948, Samuel B.Ross, ha fondato il centro Green Chimneys, una fattoria per la rieducazione dei bambini e dei giovani che soffrivano di disturbi del comportamento, utilizzando appunto animali. Nel 1953, lo psichiatra Boris M.Levinson, iniziò a utilizzare il suo cane Jingles come assistente e così, negli anni ’60 fu uno dei primi ad utilizzare la Pet Facilitated Psychotherapy (PFP) con bambini che soffrivano di disturbi comportamentali, deficit dell’attenzione e problemi di comunicazione.
Nel 1991, Serpell, sviluppò la prima ricerca scientificamente accettata grazie alla quale venne dimostrato che la relazione con un animale da compagnia riduce significativamente le sofferenze minori e migliora la qualità di vita delle persone. Curiosamente, questo lavoro ha anche dimostrato che questi effetti si mantenevano nei padroni dei cani per circa dieci mesi, mentre che nei padroni dei gatti durava tra uno e sei mesi.
Nel 1995 si implementò lo studio che segnò la differenza nella comprensione delle relazioni tra uomo e animali da compagnia. Friedmann e Thomas, dimostrarono che la relazione con gli animali da compagnia permetteva una tassa di sopravvivenza agli attacchi cardiaci di un anno (indipendentemente dalla gravità). Un altro risultato curioso di questo studio fu che dimostrò che cani e gatti avevano un effetto diverso sulle persone.
Da questo momento la Terapia Assistita con Animali non ha smesso di diffondersi. Attualmente il 32% degli psichiatri statunitensi utilizzano un animale in appoggio alle loro terapie.
I benefici della Terapia Assistita con Animali da Compagnia
I benefici di questo tipo di terapia sono molto diversi e variano a seconda della patologia e la fascia di età.
Nei bambini e negli adolescenti:
– Favorisce lo sviluppo psicomotorio e del linguaggio.
– Migliora la comunicazione non verbale.
– Aumenta l’autostima e potenzia la competenza sociale.
– Si evidenziano meno sentimenti associati alla paura.
– Favorisce la sensazione di sicurezza.
– Potenzia la responsabilità.
– Facilita lo sviluppo dell’empatia.
Negli anziani:
– Aiuta a combattere la solitudine.
– Facilita l’attività fisica.
– Migliora l’attenzione e la percezione stimolando il tatto, l’udito e la vista.
– Aumenta le espressioni facciali positive e protegge dalla depressione.
Come dato curioso aggiungiamo che accarezzare i gatti è una attività che ha un effetto molto rilassante che contribuisce a ridurre la pressione arteriosa.
Oltre ai benefici segnalati, si sa anche che le unità psichiatriche nelle quali si utilizza la Terapia Assistita con Animali, si verificano tassi di suicidio più bassi ed una diminuzione del tempo di degenza dei pazienti. Si sono evidenziati risultati positivi anche su pazienti che mostrano comportamenti aggressivi ne quali si è potuto osservare gradualmente la comparsa di: sentimenti di compassione, pazienza, fiducia e un miglioramento nella qualità delle relazioni interpersonali.
L’efficacia di questa Terapia si è riscontrata anche in persone che hanno subito abusi fisici e che in seguito sfuggono al contatto umano. La possibilità di accarezzare cani o gatti senza che questi ricordino loro le esperienze traumatiche, permette a poco a poco di recuperare la fiducia in se stessi e negli altri.
La Terapia Assistita con Animali da Compagnia può anche essere utilizzata con pazienti che soffrono di malattie croniche, fondamentalmente come metodo paliativo. Un esmpio è il Leicester Hospice in Gran Bretagna, il quale ha incorporato nei sui servizi un programma di visite di cani che permette ai pazienti di godere della compagnia degli animali senza la resposabilità di doversi prendere cura degli stessi.
Gli animali preferiti per realizzare questo tipo di terapia sono: i cani, i gatti, i cavalli e i delfini. Tuttavia, per beneficiare degli effetti positivi dati dalla compagnia degli animali non si necessita di andare dallo psicologo o di utilizzare un animale allenato specificamente a questo scopo, è solo sufficiente adottare un amico a quattro zampe.
La ragione degli effetti positivi che esercitano alcuni animali sugli esseri umani è già stato sintetizzata magistralmente, ma disgraziatamente non ricordo il nome dell’autore di questa frase: “La sensibilità è la finestra attraverso la quale gli animali si affacciano al mondo”.
Fonti:
Estivill, S. (1999) La terapia con animales de compañía. Barcelona: Tikal Ediciones.
Robinson, I. (1995) The Waltham Book of Human-Animal Interaction: benefits and responsibilities of pet ownership. Oxford: Pergamon Elserier Science.
Cooper, J.E. (1976) Pets in hospitals. BMJ; 1: 698-700.
Friedmann, E. & Thomas, S. (1995) Pet Ownership, Social Support, and One-year Survival after Acute Myocardial Infarction in the Cardiac Arrhythmia Suppression Trial. American Journal of Cardiology; 76: 1213-1217.
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