Il nostro cervello è così abituato a vedere volti ovunque che individua tratti facciali anche dove non ci sono, come nelle pietre, le nuvole o in una macchia sulla parete. Questo fenomeno è ben conosciuto in psicologia e viene denominato: pareidolia. In pratica, la pareidolia consisterebbe nel percepire erroneamente uno stimolo che è vago o aleatorio e dargli una forma riconoscibile.
Ovviamente, tutte le persone non hanno la stessa abilità per distinguere volti e schemi apparentemente non evidenti. Per questo motivo ora interviene uno studio a chiedere perché alcune persone sono più propense di altre a percepire i volti illusori.
Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno selezionato decine di foto, alcune ricordavano vagamente l’aspetto di un volto e altre no. Le immagini erano molto varie e includevano mobili, paesaggi naturali, città e rocce.
Per incontrare le persone i ricercatori ricorsero a tre diversi tipi di annunci. In una città pubblicarono che stavano cercando persone che vedessero il paranormale in una prospettiva positiva, in un’altra che necessitavano di persone che credessero nel mondo spirituale invisibile e in una terza, che cercavano persone scettiche rispetto ai fenomeni paranormali.
Tra tutti i candidati che si presentarono, scelsero 47 volontari. In seguito vennero formati tre gruppi: chi credeva nelle attività paranormali, i religiosi e gli atei.
Naturalmente, questo non è il primo esperimento che viene realizzato tentando di comprendere perché alcune persone danno diversi significati agli schemi visuali. Nel passato si era dimostrato che chi crede nel paranormale, ha la tendenza a trarre delle conclusioni basandosi su di una evidenza inadeguata o non del tutto obiettiva.
Fenomeno sociale o filogenetico?
Le spiegazioni a questo fenomeno sono tante. Per esempio, Jeff Hawkins afferma che sia dovuto al fatto che noi esseri umani abbiamo la tendenza a stabilire degli schemi seguendo le nostre esperienze e credenze. Questo spiegherebbe perché i medici possono distinguere organi umani all’interno di immagini confuse con maggiore facilità rispetto al resto delle persone. In pratica, il nostro cervello da un senso a ciò che vediamo dipendendo da ciò che abbiamo vissuto e dalle nostre aspettative.
Carl Sagan ci propone un’altra teoria. Afferma che sia dovuto ad una tecnica ancestrale di sopravvivenza, dato che in passato, distinguere i volti degli amici dai nemici era fondamentale per salvare la vita. Così, il nostro cervello si è andato perfezionando e attualmente sarebbe programmato per identificare volti umani usando pochissimi dettagli. Così potremmo riconoscere una persona a distanza, anche con poca luce.
Nel 2009 si è sviluppato uno studio molto interessante che appoggia la teoria di Sagan. In questo esperimento si è riscontrato che percepire volti umani in immagini confuse provoca un attivazione della corteccia ventrale fusiforme, una risposta che si riscontra quando vediamo dei volti reali ma non quando vediamo degli oggetti. Gli scienziati ipotizzano che questa zona si è andata specializzando nel riconoscimento dei volti e agisce in modo praticamente automatico per, in seguito, dare tempo al cervello di percepire se il volto mostra ira e aggressività o se, al contrario, è un volto amico.
Naturalmente, questa teoria filogenetica non spiega del tutto perché alcune persone sono più propense di altre a vedere i volti. Infine, considero che la spiegazione più adeguata sarebbe che, anche se abbiamo una maggiore facilità a distinguere i volti umani in relazione agli oggetti, le nostre esperienze ed aspettative svolgono un ruolo fondamentale al momento di confermare un immagine a partire da piste confuse.
Fonti:
Riekki, T. et. Al. (2012) Paranormal and Religious Believers Are More Prone to Illusory Face Perception than Skeptics and Non-believers. Applied Cognitive Psychology.
Hadjikhani, N.; Kveraga, K.; Naik, P. & Ahlfors, S. P. (February 2009) Early (M170) activation of face-specific cortex by face-like objects. Neuroreport; 20 (4): 403–407.
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