“Sii obbediente. Studia. Lavora. Sposati. Fai figli. Accendi un mutuo. Guarda la TV. Chiedi soldi in prestito. Compra molte cose. E, soprattutto, non mettere mai in dubbio quello che ti hanno detto che devi fare”, scrisse George Carlin.
Viviamo in una società che, anche se sembra sempre più permissiva e liberale, continua a giudicare ciascuna delle nostre azioni, condizionando così il nostro modo di essere e agire. A volte questa pressione sociale diventa così forte che possiamo sentirci “obbligati” a nascondere chi siamo verammente, le caratteristiche che ci definiscono ma che crediamo – per una ragione o per l’altra – che non si adattino all’ambiente in cui viviamo.
Gli psicologi della University of Southern Illinois ci avvertono che mantenere un’identità nascosta ha un costo emotivo elevato, un costo che potrebbe non valere la pena.
I rischi di nascondere chi sei per cercare di adattarti
Abbiamo due identità: una visibile e l’altra nascosta. Ci sono cose praticamente impossibili da nascondere che, in un modo o nell’altro, costituiscono la nostra identità. È il caso della nostra origine etnica, sesso e statura. Ci sono anche caratteristiche della personalità che per noi sono difficili da nascondere, come l’estroversione o la timidezza. Tutte queste caratteristiche, aggiunte a quelle che lasciamo intravedere senza problemi, costituiscono la nostra identità visibile, quella che gli altri percepiscono.
Ma abbiamo anche delle caratteristiche che non vogliamo rivelare, come potrebbe essere il nostro orientamento sessuale, alcuni problemi psicologici, determinate motivazioni o l’appartenenza a gruppi politici o religiosi minoritari. Queste caratteristiche costituiscono la nostra identità nascosta.
Ci sono molte ragioni che ci portano a voler nascondere alcuni aspetti della nostra identità. Possiamo pensare, ad esempio, che le persone che formano il nostro ambiente sociale ci rifiuterebbero se conoscessero la verità, o forse vogliamo solo evitare conflitti perché sappiamo che pensano in modo diverso. Forse ci sentiamo obbligati a nascondere alcuni aspetti della nostra identità perché rappresentano uno stigma sociale o semplicemente perché vogliamo continuare a godere di certi privilegi che sarebbero vietati alla nostra identità autentica.
A questo proposito, lo studio condotto presso la University of Southern Illinois rivela che le persone con “stigma” visibili – come sesso, razza o una disabilità in base al contesto culturale in cui vivono – sono sempre esposte, quindi sono costrette a prepararsi psicologicamente a gestire queste interazioni sociali dannose.
Questo significa che, sebbene queste persone siano esposte a un numero maggiore di conflitti, sviluppano anche più strumenti per affrontare le avversità, così alla fine queste caratteristiche apparentemente negative diventano un incentivo per crescere emotivamente e sviluppare la resilienza. Sebbene sembri paradossale, quello che inizialmente era uno svantaggio, si trasforma in una situazione vantaggiosa.
Le persone con “stigma” che si possono nascondere, come la depressione o l’orientamento sessuale, hanno la possibilità di nascondere quelle caratteristiche e passare inosservati per adattarsi al gruppo ed evitare le conseguenze negative. Tuttavia, nascondere parti dell’identità può diventare estremamente estenuante perché siamo costretti ad indossare continuamente una sorta di travestimento o maschera sociale, e questo richiede un enorme “sforzo emotivo”.
Avere un’identità nascosta ci costringe a stare sempre in guardia, attenti a ciò che diciamo o non diciamo, che i nostri atteggiamenti non rivelino ciò che vogliamo nascondere. Questo ci porta ad agire in modo superficiale per adattarci il più possibile agli altri, e ciò ci farà provare un senso di mancanza di autenticità.
In alcuni casi, quando le caratteristiche che nascondiamo sono pilastri essenziali della nostra identità, possiamo arrivare a sentirci “falsi”, e questo finirà per minare la nostra autostima. Il fatto di nascondere una parte di noi, indica anche che usiamo il metro di giudizio degli altri e che non accettiamo pienamente quella caratteristica. A lungo termine, per evitare conflitti con gli altri, svilupperemo dei conflitti interni. Rita Mae Brown disse: “la ricompensa per la conformità è piacere a tutti tranne a te”.
Questi psicologi avvertono: “nascondere l’identità può farci sentire socialmente isolati, depressi e ansiosi, influenzando il nostro rendimento e la salute”. Infatti, anche se nascondiamo alcune cose per adattarci al gruppo, in fondo sappiamo che non ci adattiamo pienamente, quindi possiamo sentirci ancora più isolati, anche se risulta paradossale.
L’esplosione dovuta all’esaurimento emotivo
Secondo lo studio, è probabile che finiremo per rivelare l’identità nascosta a causa dell’esaurimento emotivo che sperimentiamo. La tensione generata nascondendo quei tratti della personalità finirà per provocare un’esaurimento nervoso che ci farà “esplodere”.
In questo caso, è molto probabile che riveleremo la nostra identità nascosta nel peggiore dei modi, confermando così le nostre peggiori paure, perché l’atto non sarà segnato dalla maturità psicologica ma dal risentimento, la rabbia e la tensione. Incolperemo gli altri per averci costretto a nascondere ciò che siamo, il che non farà che approfondire ulteriormente il divario.
Saremo anche più propensi a rivelare quei tratti nascosti se tendiamo a rimanere in contatto con le nostre emozioni. Se abbiamo un’intelligenza emotiva elevata, sarà meno probabile che nasconderemo caratteristiche importanti della nostra personalità poiché saremo in grado di gestire i possibili conflitti e discrepanze che si presenteranno.
Un’altra condizione per rivelare i tratti nascosti è l’importanza che attribuiamo al mantenimento di un senso d’identità ben integrato. Se per noi la congruenza è un valore importante, la dissonanza che sperimenteremo nascondendo parti della nostra identità sarà così grande che ci porterà a rivelare – prima o poi – queste caratteristiche.
Le culture intolleranti promuovono le identità nascoste
Sfortunatamente, esistono ancora contesti culturali in cui alcune persone sono costrette a nascondere alcune caratteristiche della propria identità. Infatti, questi ricercatori confermano che l’apertura sociale, la tolleranza e la possibilità di esprimere sentimenti veri sono cruciali per la persona che decide di rivelare la propria identità nascosta.
Se l’ambiente non è favorevole, è molto difficile essere autentici. Non è un caso che Ralph Waldo Emerson abbia scritto che “il più grande risultato nella vita è essere te stesso, in un mondo che cerca costantemente di renderti diverso”, semplicemente perché vuole che tutti noi ci adattiamo a schemi predeterminati.
Al contrario, una cultura che accetta l’espressione individuale favorisce l’autenticità dei suoi membri e consente di normalizzare le identità nascoste. Quella cultura deve accettare che siamo tutti diversi, che non ci piacciono le stesse cose, che non pensiamo allo stesso modo e, soprattutto, che non abbiamo le stesse aspirazioni.
L’unico limite è quello in cui la libertà dell’uno invade quella dell’altro. Questa cultura di accettazione autentica è benefica per tutti perché l’autenticità implica ricchezza e diversità, il terreno fertile perché possiamo crescere e imparare dagli altri.
Una cultura che condanna i membri diversi e li segrega è una cultura che fagocita se stessa e si condanna all’impoverimento intellettuale ed emotivo. In quella cultura, il problema non sono le persone che lottano per superare le loro paure e cercano di mostrarsi al mondo come sono, ma risiede nei gruppi e nei meccanismi di oppressione alimentati dai pregiudizi e riluttanti al cambiamento.
La libertà non significa nulla, a meno che tu non possa essere autentico
Il timore di essere respinti ci paralizza, ci sminuisce e ci fa persino dimenticare chi siamo veramente, trasformandoci in una triste ombra di ciò che avremmo potuto essere. Quando qualcosa che fa parte del nostro essere non ci permette di essere, abbiamo un problema che dobbiamo risolvere il prima possibile.
Esprimere la nostra vera identità può essere un processo difficile, ma alla fine ci sentiremo più soddisfatti con noi stessi, meno ansiosi e depressi e potremmo anche incontrare un maggiore supporto sociale, o almeno un sostegno più genuino al nostro vero “io” e non alla maschera sociale che avevamo costruito.
Per fare quel passo, in realtà l’ostacolo più grande che dobbiamo superare sono le insicurezze che abbiamo alimentato dentro di noi.
La chiave sta nel chiederci se abbiamo bisogno di più energia per nascondere che per rivelare il nostro vero io. Se il costo emotivo che stiamo pagando per nascondere la nostra identità vale davvero la pena. Affrontare queste paure può essere estremamente liberatorio e può persino cambiare la realtà che ci circonda.
Ma forse tutto può essere riassunto in questa frase di Fritz Perls, che sapeva in prima persona cosa vuol dire appartenere ad un gruppo emarginato, dicendo: “sii chi sei e di quello che pensi, perché quelli che si infastidiscono non contano e quelli che contano non sono disturbati.”
Fonte:
Berkley, R. A., Beard, R. & Daus, C. S. (2019) The emotional context of disclosing a concealable stigmatized identity: A conceptual model. Human Resource Management Review; 29(3): 428–445.
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