![attenzione spontanea](https://angolopsicologia.com/wp-content/uploads/2023/12/Seguire-il-sentiero.webp)
“Stiamo affogando nell’informazione, mentre moriamo di fame per la saggezza”. Queste furono le parole del biologo statunitense Edward Osborne Wilson all’inizio del secolo.
Non c’è dubbio che viviamo nell’era di maggior accesso all’informazione, ma questa è più frammentata, caotica e fugace che mai. Navigare in questo mare d’informazione non ci garantisce saggezza, piuttosto ci sprofonda in una sorta di sonnolenza indotta dal bombardamento di dati provenienti da diverse fonti, uno stato di “attenzione parziale continua” che finisce per frammentare e disperdere uno dei nostri strumenti più preziosi.
Come disse il premio Nobel per l’economia Herbert Simon: l’informazione consuma “l’attenzione dei suoi destinatari. Quindi, l’eccesso d’informazione è necessariamente accompagnato da una scarsa attenzione”.
La trappola dell’economia dell’attenzione
L'”economia dell’attenzione” è un’espressione utilizzata per spiegare che l’attenzione è una risorsa limitata che si disputa costantemente le notizie, gli avvisi e le notifiche sul telefonino, le persone accanto a noi, gli stimoli ambientali…
Indubbiamente, è una narrazione utile in un mondo segnato dal sovraccarico d’informazione in cui i dispositivi e le applicazioni sono appositamente progettati per mantenerci connessi. Ci avverte che non possiamo prestare attenzione a tutto, perché l’attenzione è una risorsa limitata. Tuttavia, questa concezione dell’attenzione è solo una parte della verità.
Dopo tutto, l’economia si incarica di assegnare le risorse in maniera efficiente al servizio di obiettivi specifici, come assimilare quante più informazioni possibili leggendo il giornale. Pertanto, fare riferimento all'”economia dell’attenzione” implica accettare che si tratta di una risorsa che dobbiamo usare al servizio di qualche obiettivo.
Ma l’attenzione è molto più di una risorsa, è ciò che ci permette di stare nel mondo, è la nostra connessione con l’ambiente, ma anche con il nostro “io”. Come disse William James: “Tutto ciò a cui prestiamo attenzione è la realtà”.
L’idea è semplice ma profonda: l’attenzione ci collega al mondo modellando e definendo la nostra esperienza. Pertanto, l’attenzione non è solo una risorsa, è anche un’esperienza.
C’è un’attenzione focalizzata, che è ciò che usiamo per leggere le notizie, navigare nei social network, guardare un film o ascoltare il nostro interlocutore, ma c’è un’attenzione molto più ampia, una modalità esplorativa che implica un’apertura mentale a tutto ciò che ci si presenta davanti, nella sua pienezza.
Questa è precisamente l’attenzione che stiamo perdendo, sacrificandola sull’altare dell’attenzione focalizzata, che può servirci per raggiungere determinati obiettivi, ma che finisce per cancellare gran parte di ciò che ci circonda offuscando persino la nostra autocoscienza.
La perdita dell’attenzione spontanea
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L’attenzione esplorativa o piena, è più aperta, ci consente di esplorare e avere la più ampia esperienza possibile del mondo. L’attenzione focalizzata ci consente di concentrarci su un punto del cammino, per non perderlo di vista, mentre l’attenzione esplorativa apre la nostra visione in tutte le direzioni.
Questa modalità esplorativa dell’attenzione non è solo esterna, ma ci consente anche di connetterci con noi stessi. Infatti, il maestro zen David Loy afferma che il samsara, l’esistenza non illuminata, è semplicemente lo stato in cui è intrappolata l’attenzione mentre si aggrappa ad una cosa o all’altra, sempre alla ricerca della prossima cosa da afferrare. Un’attenzione piena e aperta è quella che si libera da queste fissazioni.
Il problema, quindi, è duplice. In primo luogo, il bombardamento di stimoli in competizione per la nostra attenzione ci spinge verso una gratificazione istantanea, che finisce per spiazzare l’attenzione esplorativa. Quando arriviamo alla fermata dell’autobus, ad esempio, estraiamo automaticamente il telefonino invece di guardare lo spazio e le persone intorno a noi.
In secondo luogo, se assumiamo l’attenzione come una semplice risorsa, corriamo il rischio di perdere l’intera esperienza, trasformando l’attenzione solo in un mezzo per raggiungere un fine. In questa narrazione c’è un pregiudizio implicito secondo il quale l’attenzione focalizzata e diretta agli obiettivi è più preziosa dell’attenzione aperta e spontanea.
Le prove indicano che la nostra società si sta muovendo in quella direzione. Uno studio condotto da psicologi delle università della Virginia e di Harvard ha concluso che “le persone normalmente non amano trascorrere 6 o 15 minuti da sole in una stanza con i propri pensieri, preferiscono svolgere attività esterne banali e molti scelgono la somministrazione di scosse elettriche piuttosto che restare da sole con i loro pensieri.”
Come sviluppare l’attenzione spontanea?
Quando non riusciamo a usare la nostra attenzione, questa diventa uno strumento che useranno e sfrutteranno gli altri. Come impedirlo?
1. Inizia a pensare all’attenzione come a un’esperienza. L’attenzione focalizzata è importante, non c’è dubbio, ma è anche importante lasciare spazio all’attenzione spontanea. Per fare ciò, il primo passo è sbarazzarsi della convinzione che l’attenzione debba essere al servizio della risoluzione dei problemi o del raggiungimento degli obiettivi. Dobbiamo iniziare a pensare ad un’attenzione più ampia che implica il nostro modo di stare nel mondo e con noi stessi.
2. Pensa a come passi il tempo. Per sviluppare l’attenzione esplorativa, dobbiamo essere consapevoli di tutte quelle attività con le quali impediamo alla mente di muoversi al proprio ritmo, senza un obiettivo preciso. È probabile che scopriamo che passiamo troppo tempo a divertirci in attività esterne che limitano il nostro campo d’attenzione, invece di espanderlo.
3. Realizza attività che stimolino l’attenzione spontanea. Dobbiamo cercare delle attività che ci nutrano in modo aperto e non diretto, per dare spazio a quell’attenzione più ampia, come fare una passeggiata nella natura senza telefonino e/o dispositivi tecnologici. O semplicemente stare seduti qualche minuto concentrandoci sulle nostre sensazioni corporee o lasciare che la mente vaghi senza meta. Si tratta di allentare il controllo sulla nostra mente, lasciando che si muova al suo ritmo. Senza fissare degli obiettivi. Senza aspettarci nulla. Solo aprendoci all’esperienza.
Nell’era delle tecnologia veloce e del successo immediato, questo discorso può sembrare un po’ deludente. Ma quei momenti di semplicità senza dettagli e senza fretta nascondono un mondo meraviglioso da scoprire. Come diceva Daniel Goleman: “una mente errante non solo può allontanarci da ciò che conta per noi, ma può anche avvicinarci a ciò che ci interessa”.
Fonti:
Nixon, D. (2019) Attention is not a resource but a way of being alive to the world. In: Big Think.
Wilson, T. D. et. Al. (2014) Just think: The challenges of the disengaged mind. Science; 345(6192): 75-77.
Goleman, D. (2013) Focus. Barcelona: Editorial Kairós.
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