L’improbabile ci ha colpito. Improvvisamente, come di solito accade, lasciandoci un sentimento di incredulità con cui lottiamo per cercare di dare un senso a ciò che sta accadendo, per cercare di adattarci a questa nuova normalità che di normale ha ben poco.
L’incertezza è diventata il leitmotiv di questa pandemia. Ha scosso le basi che consideravamo solide, precipitandoci verso scenari sconosciuti. Ma non siamo i soli ad aver vissuto una pandemia e uno duro confinamento. La storia è piena di malattie e pesti. E questi echi del passato possono aiutarci a capire meglio cosa sta succedendo, le reazioni emotive che stiamo vivendo e ciò che verrà dopo.
Chi ruppe i rastelli di montelupo? – e – Il pestifero e contagioso morbo: Combattere la peste nell’Italia del Seicento – Carlo M. Cipolla
Montelupo è una cittadina sulle rive dell’Arno, nella placida Toscana, che all’inizio del XVII secolo era abitata da circa 150 famiglie. Quella tranquillità sarebbe stata interrotta dall’irruzione della peste. Mentre lo storico Carlo M. Cipolla ci introduce alla vita quotidiana di una città afflitta dalla terribile epidemia, ci mostra anche le contraddizioni sociali e le decisioni esistenziali dei suoi abitanti.
In queste pagine veniamo assorbiti dalla terribile realtà che la peste bubbonica impose, ma non vi è alcun vanto nel dramma e nella tragedia, ci rendiamo conto che l’epidemia, per quanto terribile, termina per essere assunta con naturalezza. La forza dell’abitudine, il bisogno di normalità, finisce per vincere la battaglia contro la paura della morte. Infatti, la “rottura dei rastelli” è l’espressione della ribellione contro la paura che comportava l’isolamento. Tra una brutta vita per l’isolamento repressivo e rovinoso dal punto di vista economico e la minaccia della morte, molti abitanti di Montelupo scelsero la libertà, anche se era la libertà di morire. Vitalità allo stato puro.
Ma questa non è l’unica decisione che ci incoraggia a riflettere. Il libro si articola anche tra le diverse posizioni assunte dalla chiesa e dalle autorità sanitarie. Mentre Dragoni, rappresentante del potere politico, si preoccupa di applicare misure preventive come la quarantena in casa, la disinfezione e le sepolture all’esterno della chiesa, il parroco Bontadi promuove processioni massive, prediche e manifestazioni corali di ogni tipo per, secondo lui, placare l’ira divina che ha mandato la peste.
Sebbene apparentemente molto diverse, entrambe le posizioni hanno un punto in comune: instillare la paura a cui i cittadini di Montelupo sembravano immuni. La Chiesa cerca di capitalizzare la paura della morte dipingendo un quadro fatalistico di minacce e punizioni divine, mentre lo stato agisce nell’aspetto più banale della paura di ammalarsi, di smettere di esistere o di perdere i propri cari. E tra questi due poteri ci sono coloro che cercano di sbarazzarsi delle sbarre fisiche e metafisiche che si cerca di imporre loro.
Paura liquida – Zygmunt Bauman
“Per prevenire una catastrofe, devi prima credere nella sua possibilità. Dobbiamo credere che l’impossibile sia possibile. Che il possibile è sempre in agguato. Instancabile, dentro il guscio protettivo dell’impossibilità, in attesa di irrompere. Nessun pericolo è così sinistro e nessuna catastrofe colpisce tanto quanto quelle considerate una probabilità irrisoria; concepirle come improbabili o ignorarle completamente è la scusa con cui non si fa nulla per evitarle prima che raggiungano il punto in cui l’improbabile diventa realtà e improvvisamente è troppo tardi per mitigarne l’impatto, ancor di più per scongiurarne l’apparizione. Eppure, questo è esattamente ciò che stiamo facendo, o piuttosto ‘non facendo’, quotidianamente, senza pensarci”, scrive il sociologo Zygmunt Bauman in questo libro.
Queste pagine contengono un’analisi lucida, e spesso severa, della società contemporanea e delle sue paure. Ci rivela, passo dopo passo, non solo la dinamica delle paure che ci attanagliano, ma anche come i poteri le capitalizzano per espandere il loro controllo sulla società. La paura a cui Bauman fa riferimento comprende l’incertezza che caratterizza la nostra era liquida moderna. È la paura delle minacce che incombono su di noi, siano esse il terrorismo o il coronavirus, amplificata dalla nostra incapacità di determinare cosa possiamo (e non possiamo) fare per contrastare quei pericoli.
La premessa è più valida che mai: “Vivere in un mondo liquido che è noto ammettere solo una certezza (che domani non può essere, non deve essere e non sarà come oggi)”. Questa premessa inquieta proprio perché trova un’eco nella nostra realtà, perché oggi, più che mai, sappiamo che domani non sarà come ciò che ci siamo lasciati alle spalle.
Il libro è forse il più profetico perché ci permette di intuire il mondo dopo il coronavirus. Per fare questo, basta semplicemente passare dalla narrazione di Bauman alle grandi alluvioni che hanno devastato New Orleans con l’uragano Katrina. Quindi possiamo fare un parallelo con la pandemia, possiamo guardarci allo specchio per capire come avviene l’implosione di una società, come le norme e i valori che fino a pochi giorni prima tutti davamo per scontati fossero eccessivamente fragili.
La peste – Albert Camus
Orano. Una città come un’altra. Abitata da persone comuni che conducevano una vita frenetica in cui non c’era spazio per riconoscere l’esistenza degli altri. Immersa nella propria vita, i suoi abitanti mancavano di senso di comunità. Erano persone che trascorrevano ore a dormire per accumulare beni. “La prosperità materiale sembra sempre un obiettivo più ragionevole che perseguire l’eccellenza morale”, scriveva Camus.
E mentre descrive una normalità con cui tutti potremmo identificarci, all’improvviso scoppia una malattia che nessuno vuole chiamare per nome, perché farlo implicherebbe riconoscere una terribile realtà. I primi giorni e settimane trascorrono nell’occultamento, la negazione dei fatti. “L’uomo dice a se stesso che la peste è irreale, che è un brutto sogno che deve passare. Ma non sempre passa, e di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini che passano”. Perché, come sottolinea Camus, “il male che esiste nel mondo proviene quasi sempre dall’ignoranza”.
Quindi, quando il problema non può più essere nascosto, la peste esplode, seminando la sua parte di dolore e morte. “Una volta chiuse le porte, si resero conto che erano stati catturati nella stessa rete e che dovevano arrangiarsi”. Isolati “dal mondo esterno che può sempre salvarci da tutto”, gli abitanti di Orano sono costretti a collaborare.
Camus cattura magistralmente tutte le fasi psicologiche che attraversiamo durante un’epidemia e un lungo isolamento. Paura, lotta, dolore, apatia e anche rassegnazione. Perché anche il pericolo più grande, se sistematico, produce non solo orrore ma anche tedio. E Camus ci prende per mano e ci porta attraverso tutte quelle emozioni che molti di noi già conoscono oggi. Ci mette faccia a faccia con l’assurdo, illogico e fragile della vita. Con i piccoli atti di eroismo, ma anche con quelli di indolenza. Con la nuova normalità alla quale ci abituiamo. Una normalità in cui perdura una speranza tanto tiepida quanto insufficiente e ci muove solo la profonda ostinazione a vivere.
Eppure, Camus, dal suo profondo umanesimo e spogliato di ogni cinismo, non critica i suoi protagonisti, non c’è traccia di giudizio in lui, perché crede che, nel profondo, “negli uomini ci sono più cose degne d’ammirazione che di disprezzo”. E così, in qualche modo, riesce a inviarci un messaggio di speranza per ricordare che in quei momenti può farci stare meglio solo la tenerezza, l’affetto e il sostegno di altri esseri umani, anche se sappiamo che ogni minuto che passa potrebbe essere un passo verso l’abisso.
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